Buongiorno!

Dopo ben tre puntate dedicate ad altrettante dame della moda, la Storia di Fashion di oggi ha come protagonista un uomo. Il suo nome è Elio Fiorucci: più che una persona, uno spettacolo di fuochi artificiali.

Il creativo milanese ha precorso i tempi da ogni punto di vista: dalla diffusione dello streetwear al primo concept store in Italia, dall’intuizione dei jeans attillati da donna fino all’idea di shopping experience prima ancora che iniziassimo a chiamarla o anche solo a pensarla così.

Dal 1967, per molti anni a venire, il negozio Fiorucci di piazza San Babila a Milano ha rappresentato molto più che un semplice luogo dove fare acquisti: era un punto d’incontro e un’attrazione turistica; nessuno aveva mai visto niente del genere.

Ma cosa aveva di tanto speciale? Innanzitutto, le vetrine non erano una barriera tra il dentro e il fuori; poi somigliava più ad un bazar che a un negozio di vestiti, poiché non vendeva solo jeans e magliette, ma era stracolmo di oggetti, arredi, dischi, libri, profumi; fu il primo negozio con la musica diffusa ad alto volume; il primo con le modelle in carne ed ossa in vetrina.

Nel 1983 Keith Haring, graffitaro e street artist di fama mondiale, ne decorò una parete. Fu nientemeno che Andy Warhol a fare da tramite tra lui e lo stilista.

Il re della pop art era amico di Fiorucci dal 1976, anno in cui aveva aperto anche a New York. Il suo negozio presto era stato soprannominato ‘lo studio diurno 54’: la sera si andava allo Studio 54, il giorno da Fiorucci.

Ma come aveva fatto Elio Fiorucci a diventare… Elio Fiorucci?

Nato nel 1935 a Milano, da studente svogliato aveva abbandonato presto la scuola ed era stato arruolato dal padre come garzone nella sua bottega di pantofole. Lavorando lì, aveva capito di possedere uno speciale talento nell’individuare i gusti dei clienti e una certa capacità di anticipare le tendenze.

Si era appassionato alla moda e presto la dimensione del negozietto paterno gli era sembrata stretta.

Curioso di natura, aveva preso un aereo per Londra, dove aveva scoperto l’esistenza di un sistema moda colorato, pacificamente trasgressivo, stimolante e alla portata di tutti. In particolare, lo street style, un modo di vestire che non era imposto dall’alto ma, al contrario, spontaneo e democratico. Folgorato da una filosofia fashion tanto distante da quella italiana, era tornato nella sua città natale con precise, scintillanti idee.

Parlando del suo primo negozio, avrebbe detto:

“Al centro di una Milano rigida, fra boutique di lusso, noi siamo arrivati con le minigonne, i colori, le luci, la musica alta.

È stato uno shock per la città, ma pure la mia fortuna”.

Il secondo store aperto a via Torino sarebbe stato ancor più all’avanguardia: al suo interno, c’era posto anche per un ristorante, che serviva hamburger su piatti di Richard Ginori.

Dal punto di vista dell’abbigliamento introdusse una serie di rivoluzioni gioiosamente anticonformiste che andarono dai jeans fascianti al monokini, dal tanga alle t-shirt corte e stampate.

L’ultimo successo commerciale risale al 2003, quando realizzò una collezione low cost con protagonisti dei teneri nani da giardino e lo slogan Love Therapy.

Nel 2015, poco dopo aver festeggiato gli 80 anni, morì per un malore nella sua casa milanese.

Di un uomo così poliedrico, la definizione migliore forse l’ha data il celeberrimo fotografo Oliviero Toscani, per 50 anni suo amico e collaboratore:

“No, non chiamatelo stilista. Elio era un sociologo, uno psicologo della moda, un viaggiatore visionario che ha insegnato alla società a nutrirsi di bellezza. Con le sue creazioni ha scritto un trattato sul costume, ha inventato il Made in Italy”.

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